I Queen in concerto a Budapest, photo courtesy ufficio stampa
Di Raffaella Giancristofaro
Volete fare un tuffo a piedi uniti negli anni ’80? Il 20 novembre ne avreste l’occasione. Solo per quel giorno, infatti, sarà nei cinema italiani (distribuito da Microcinema, qui l’elenco delle sale che lo programmeranno) Hungarian Rhapsody: Queen Live in Budapest, produzione locale (firmò la regia, in quell’indimenticabile 1986, per la città, l’autoctono Janos Zsombolyai). Il film immortala – con brevi esterni alternati alla ripresa del palco – i rituali turistici della band durante il Magic Tour, l’ultimo a cui partecipò Freddie Mercury: visita ufficiale di tutti alle autorità, shopping artistico per Mercury, giro in mongolfiera per Brian May, corsa in go-kart per Roger Taylor, conoscenza dei locali e passeggiata sul Danubio per John Deacon. Il resto è pura ripresa del concerto. Oltre a ciò (con tutti i limiti, audio e video, di una registrazione che ormai si può definire d’epoca, e nonostante il restauro digitale) è anche un documento storico, essendo il primo concerto di una band occidentale al di là della cortina di ferro (il Muro di Berlino sarebbe caduto solo tre anni dopo). Ecco in questo estratto, la trepidazione avvertita da Taylor e Mercury prima di esibirsi in un Paese fino ad allora off limits.
L’immersione nel passato non è solo politica, anzi: trattandosi di anni ’80, il total look white spadroneggia, ma non come nei film dei fratelli Scott, piuttosto come un pugno in un occhio. Non solo le divise con alamari di Mercury, ma anche le Adidas immacolate, i completini di John Deacon, che suona il basso ma sembra in attesa di servire a tennis... e ovviamente le chiome fluenti di Brian May (ma quelle sono un trademark che attraversa i decenni). E la sorpresa di decine di migliaia di fan ancora privi di cellulari, con le mani libere per battere il tempo su We Will Rock You, e rapiti dall’esecuzione di tanto primordiale rock ritmico.
E la musica? La formazione, che da quello che si vede pare non avere un supporto massiccio di effetti dietro le quinte (come fanno e facevano altre grandi band), fa il suo dovere – May è sempre concentratissimo sul suo strumento –, ognuno tiene le posizioni. Nonostante il restauro digitale di audio e suono del 2012, il suono mantiene una patina glam e da rock “tondo”. Solo Mercury passeggia su e giù per il palco a volte con un buffo passo dell’oca, ma il pubblico sembra accontentarsi. E ovviamente si gasa quando in coda arrivano i grandi classici: We Are the Champions, Bohemian Rhapsody, We Will Rock You in gran finale con Mercury, che dopo aver esibito petto e ascelle villose indossa corona e mantello regale. Un’esperienza di viaggio nel tempo, come tornare ad ascoltare i nastri sull’autoradio. Con un dubbio che aleggia: eravamo più burini o solo più genuini? Mah.
Sempre nell'aura dei Queen è uscito da poco, per Magazzini Salani, Freddie Mercury. The Great Pretender. Fotografie di una vita (pp. 143, euro 29,80). Andate alla gallery, breve anticipazione del libro!